mercoledì 5 settembre 2007

QUALE COSCIENZA MORALE IN ORDINE ALLE TASSE DA PAGARE

Caro direttore,
ti invio queste brevi riflessioni su un tema che ha tenuto banco nei giorni scorsi.
Chi l’ha detto che vescovi e cardinali, quando aprono bocca per esprimere un loro parere sulla società italiana, compiono un’ingerenza impropria? L’affermazione del card. Tarcisio Bertone al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini il 19 agosto scorso è stata ampiamente ripresa e citata dai politici di casa nostra dell’uno e dell’altro schieramento. L’intervento del segretario di stato della Santa Sede è stato per la verità un capolavoro di diplomazia: «Noi siamo con il Vangelo che dice “date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio” e con san Paolo che invita a pagare le tasse. Naturalmente – come è stato già detto da esponenti di chiesa e da me stesso –, tutti dobbiamo fare il nostro dovere anche nel pagare le tasse secondo leggi giuste e nel destinare i proventi a opere giuste e nell'aiuto ai più poveri e ai più deboli». Una frase del genere si è prestata in maniera perfetta ad essere ripresa e amplificata dagli opposti schieramenti politici: il centrosinistra ha abbondantemente ripreso la prima parte, inerente al dovere che tutti hanno di pagare le tasse; il centrodestra, come par condicio, ha fatto riferimento invece più alla seconda parte dove si ricorda l’impegno dello stato a che le tasse siano “giuste” e ad utilizzare i proventi di esse in maniera corretta e a favore dei più deboli.
Il card. Bertone si riallacciava ad un’affermazione del presidente del consiglio, Romano Prodi, fatta qualche settimana prima, il quale si lamentava in un’intervista a Famiglia Cristiana – lui cattolico praticante – che, nonostante le sue frequentazioni alle messe domenicali, non gli era mai capitato di sentire dalle omelie dei sacerdoti un richiamo al dovere di pagare le tasse. È doveroso perciò riflettere su quest’aspetto, anche perché è uno di quegli argomenti spinosi di cui si parla e si scrive malvolentieri, ma, visti i tempi che corrono, urge più che mai riflettere con serietà e pacatezza.
Tanto per rimanere in ambito ecclesiale, cominciamo col dire che nei 2.865 numeri nei quali è suddiviso il Catechismo della chiesa cattolica si trovano tre numeri dedicati al pur doveroso rispetto verso gli animali, un numero dedicato allo sciopero e uno sui contributi in materia di lavoro che vanno doverosamente pagati. Non c’è nessuna menzione delle tasse e del fisco in genere, anche se si parla del compito dello stato di assicurare la destinazione universale dei beni. Se ne parla, invece, nel Compendio della dottrina sociale della chiesa dove si dedica alla “raccolta fiscale e spesa pubblica” un solo numero, esattamente il n. 355.
Per la verità, durante i lavori del concilio, i presuli di tutto il mondo con molta fermezza avevano avanzato la proposta di superare l'etica individualistica dominante. Recita infatti il documento Gaudium et spes al n. 30: «Vi sono di quelli che, pur professando opinioni larghe e generose, tuttavia continuano a vivere in pratica come se non avessero alcuna cura delle necessità della società. Anzi, molti, in certi paesi, tengono in poco conto le leggi e le prescrizioni sociali. Non pochi non si vergognano di evadere, con vari sotterfugi e frodi, le giuste imposte o altri obblighi sociali (…) Che tutti prendano sommamente a cuore di annoverare le solidarietà sociali tra i principali doveri dell'uomo d'oggi e di rispettarle».
Nei trattati classici di morale si può cogliere una certa contraddizione, in quanto si trova sempre un capitolo su questo problema, ma, se confrontato con i poderosi tomi che affrontano la morale sessuale, i rapporti prematrimoniali, la masturbazione ecc., si constata una certa sproporzione.
Siamo, quindi, di fronte ad un atteggiamento per certi versi tutto da approfondire; tant’è vero che chi evade il fisco o non paga le tasse non avverte questo come una colpa morale grave. Gli stessi uomini politici, se a parole invitano al dovere civile di ogni cittadino, quando sono pescati con le mani nella “marmellata”, candidamente ammettono che è un “male minore”. Se poi pensiamo all’esempio che ci viene offerto da gente dello spettacolo e da campioni sportivi di ogni genere che si commuovono sempre quando suona l’inno di Mameli, mentre guardano il tricolore salire verso il cielo e, nello stesso tempo, chiedono che sulla terra i loro compensi economici siano versati su conti situati in compiacenti paradisi fiscali, o addirittura portano la loro residenza all’estero, qualche interrogativo etico in più al riguardo dovremmo pur cominciare a porcelo, o no?
Se vogliamo scendere a livelli più popolari e se dobbiamo prestare fede a quello che viene pubblicato, ben cinque milioni di italiani non pagano il canone Rai e un numero innumerevole di concittadini sfugge all’imposta sui rifiuti solidi e all’imposta di bollo sull’auto. Aggiungiamo a tutto ciò che, spesso e volentieri, a livello di coscienza civica personale, pur violando “magari in forma leggera” la legge – pensiamo al divieto di sosta o alla non osservanza delle varie tariffe postali, al non pagamento del biglietto sui mezzi pubblici, alla non erogazione degli scontrini fiscali ecc., della cui violazione non ci si preoccupa per nulla dal punto di vista morale, ma solo se si viene “beccati” e costretti a pagare la sanzione –, tutto questo la dice lunga su come l’italiano medio ha a cuore il bene comune.
Discorso a parte meriterebbe la tassazione sulle speculazioni finanziarie e sui redditi non da lavoro. Secondo la prestigiosa rivista dei gesuiti La Civiltà Cattolica non è certamente equo il fatto che i redditi da lavoro dipendente vengano tassati per circa il 50%, il reddito da impresa per circa il 40% e quello delle rendite finanziare solo per il 13%. Ben venga allora a questo punto il richiamo del card. Bertone al dovere di tutti di pagare le tasse e all’obbligo morale da parte dello stato di utilizzare queste risorse in favore dei più deboli.
Scrive l’economista americano Keynes che le tasse sono la quota da pagare per far parte di una società degna di questo nome; rimane, quindi, da parte di ciascuno, governanti e governati, il dovere morale di adempiere ai propri compiti.
Inoltre, si auspica che ai credenti che, ogniqualvolta si confessano e iniziano dicendo “Padre non so cosa dire, mi aiuti lei…”, possa capitare loro di sentirsi rispondere, non tanto la classica frase “Quante volte figliolo?”, ma una più prosaica “Dimmi come hai compilato l’ultimo 730 o 740?”. Chissà…, forse la vera conversione civica, morale e religiosa, può iniziare anche da lì.

don Mario Bandera

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