venerdì 12 gennaio 2007

SULLE COPPIE DI FATTO

Per le coppie di fatto
una sensibilità solidarista

Caro direttore,
sono convinto che, in uno stato laico, dove si incontrano culture diverse, nel rispetto delle identità di ciascuna, credenti e non credenti devono cercare piste concrete per realizzare il maggior bene comune possibile, consapevoli delle necessarie mediazioni da compiere. Pertanto, la collaborazione politica dei cattolici con «partner» di diverso orientamento culturale nella vita politica va impostata laicamente e nel rispetto delle regole democratiche, senza compromettere, certo, la propria identità e in coerenza con i valori ispiratori. Sono perciò convinto che i cattolici non tradiscano tali valori se, servendosi delle situazioni storiche, dei «segni dei tempi» e del dialogo interculturale, affrontano anche questioni molto delicate che vanno regolamentate.
Una di queste, che oggi va affrontata con molta intelligenza e con le necessarie mediazioni, è quella delle coppie di fatto: sono infatti maturi i tempi, anche perché, secondo indagini non sospette, una percentuale abbastanza ampia del mondo cattolico è di quest’avviso. Perciò una legge sui diritti – e anche i doveri – delle persone che formano coppie di fatto è necessaria.
So bene che molti altri cattolici, soprattutto nel clero, quando si fanno questi discorsi, si allarmano perché un tale provvedimento sarebbe un attentato alla famiglia fondata sul matrimonio (art. 29 della Costituzione). Ma non è così.
Se, infatti, diamo un’occhiata al nostro ordinamento giuridico, troviamo che la convivenza di fatto, qua e là, viene già riconosciuta. L’articolo 572 del Codice penale, per esempio, considera il convivente una persona della famiglia e lo tutela in caso di maltrattamenti fisici o morali; l’articolo 30 dell’Ordinamento penitenziario (L. 354/1975) ammette la possibilità per il detenuto di avere permessi che gli consentano di fare visita non solo al familiare, ma anche al convivente in caso di pericolo di vita; l’articolo 199 del Codice di procedura penale, poi, prevede la facoltà di non testimoniare per chi «pur non essendo coniuge dell’imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso»; infine, la legge sull’adozione prevede l’affidamento del minore, «temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, ad un’altra famiglia sia legittima sia naturale».
Ma c’è ben altro, e i politici lo sanno. Da decenni, una vigente normativa inerente al sistema pensionistico permette, oltre che ai conviventi dei giornalisti, anche a quelli dei parlamentari, benefici assistenziali – tipo una cassa mutua – che derivano dal contratto di lavoro, e ne traggono vantaggio pure quelli che si oppongono alle coppie di fatto. Ne usufruisce un deputato su quattro. Di tali diritti i parlamentari godono senza che siano mai state sollevate obiezioni, a parte Pier Ferdinando Casini, un cattolico che, a suo tempo, annunciò che avrebbe rinunciato.
Quello che è siginificativo è che nessuno mai ha posto il problema di eliminare questi diritti, neppure chi, come Casini, è stato presidente della Camera.
E allora perché questa schizofrenia legislativa? Una legge che disciplini le coppie di fatto non vuole sradicare la famiglia; e non è un capriccio del centrosinistra, tanto è vero che anche il centrodestra presta molta attenzione. Lo stesso Berlusconi ha dichiarato che, nel caso una tale legge venisse proposta in Parlamento, lascerà ai suoi deputati libertà di votare secondo coscienza.
A nostro giudizio, perciò, una normativa che vada su questa direzione è una necessità, perché non si può ignorare che oggi in Italia, nonostante le leggi che difendono la famiglia fondata sul matrimonio, le convivenze libere aumentano. E, se è giusto salvaguardare la famiglia ontologicamente diversa da tali unioni, nemmeno si può discriminare queste ultime.
Il card. Carlo Maria Martini, nel discorso pronunciato alla vigilia di Sant’Ambrogio del 2000 diceva che sulle coppie di fatto «l’autorità pubblica può adottare un approccio pragmatico e deve testimoniare una sensibilità solidarista». E concludeva: «Al vertice delle nostre preoccupazioni non deve essere il proposito di penalizzare le unioni di fatto, ma sostenere le famiglie in senso proprio».
Ed è seguendo questi dettami del card. Martini, che si muove il testo preparato dal professor Stefano Ceccanti, cattolico ed ex presidente della Fuci, su incarico del ministro delle Pari Opportunità Barbara Pollastrini: esso «non prefigura un simil-matrimonio come i Pacs», ma «pragmaticamente tutela persone legate nelle unioni di fatto». Per cui, se è vero che la Costituzione riconosce un plusvalore alla famiglia fondata sul matrimonio (art. 29), è pur vero che essa «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» (art. 2).
Le coppie di cui si parla non hanno quindi nulla a che vedere con la famiglia fondata sui matrimonio, di cui all’articolo 29 della Costituzione: perché, come dichiara il prof. Ceccanti, nel testo proposto «non è prevista una “celebrazione” dell’unione di fatto. Nel matrimonio diritti e doveri nascono nel momento stesso che si celebra quel rito». Nel testo, invece, si propone «un registro comunale nel quale si va a certificare non qualcosa che nasce in quel momento, ma qualcosa che già esiste. I soggetti si registrano con una dichiarazione congiunta che attesta l’esistenza di tale unione. Il diritto nasce dal fatto precedente non dalla celebrazione». Non solo: ma nel testo è previsto «un equilibrio tra diritti e doveri». Su questioni come la reversibilità delle pensioni, per esempio, si apre un diverso capitolo, quello degli obblighi pubblici, che va regolamentato a parte, presto e con precisione, perché altrimenti esisterebbero «situazioni di fatto per cui è più conveniente essere conviventi che essere sposati».
Concludendo, diciamo che, appunto perché si tratta di una questione molto delicata, che appartiene alla coscienza, alla sensibilità delle persone, al costume, essa va affrontata coinvolgendo maggioranza e opposizione per avere, tramite un confronto serrato e leale, una buona legge votata da una larga maggioranza trasversale in parlamento. Che duri nel tempo. Evitando cosi di dividerci in guelfi e ghibellini, con polemiche di carattere ideologico, per “sentito dire” più che in punta di fatto.

don Salvatore Bussu

2 commenti:

Anonimo ha detto...

moltissimi complimenti per aver scelto lo strumento del blog; ve lo dice uno che è stato tra i pionieri in Italia (tra il clero e non solo) e che proprio in questi giorni è partito con un nuovo progetto.
Se posso contribuire in qualche modo, lo farò volentieri.

Anonimo ha detto...

La via più facile non è quella evangelica. Se non lo capiscono i pastori, come potranno arrivarci i fedeli?