Caro direttore,
chiedo scusa a lei e ai lettori se di nuovo faccio il chiosatore di lettere apparse su Settimana. Questa volta mi riferisco a quella di don Guido Oliveri (cf. Sett. n. 11, del 18 marzo 2007).
Ho letto con interesse quella lettera e preciso subito che
a) anch’io, come don Guido, non derogo dalla disciplina attuale della chiesa, perché, se si sta nella chiesa, occorre anche viverne la disciplina. È la grande coerenza ascetica che nasce dal mistero ecclesiale;
b) ma, nello stesso tempo, trovo giusto chiedere una trasformazione dell’attuale disciplina al riguardo.
Nel frattempo, il percorso che don Oliveri ha fatto con la signora è giusto. Ma è giusto anche porre alcune domande.
1. Nella chiesa è bella e forte la preoccupazione per il matrimonio e la famiglia. Ma perché non c’è altrettanta cura riguardo al restante spazio della vita? C’è ora la dichiarazione circa il voto sui Dico, ma come mai non è stato detto niente riguardo alla legge sul falso in bilancio? Sulla falsità il vangelo è forse più morbido che sul matrimonio? E sulla ricchezza? E sul potere? Domando in particolare: perché – seguendo la severità della disciplina eucaristica – non rifiutiamo i sacramenti a chi, per esempio, è complice di un sistema bancario che non dà nulla come frutto a chi porta soldi ma impone tassi esosi a chi i soldi li chiede in mutuo? Ci facciamo domande sull’uso che le banche fanno dei risparmi che vi poniamo? Sia io che qualsiasi altro siamo complici se la banca investe in armi? È che dire di chi – anche se fa parte dell’Ior – investe in industrie chimiche che producono medicinali “immorali”? E quanti lavorano in industrie di armamento? Chiedo poi a coloro che lavorano nell’ambito della comunicazione, dove tutto sembra rispondere al solo risultato economico: fanno comunicazione o interesse?
E si potrebbe continuare con questi interrogativi… E, noi operatori pastorali, o meglio “odegeti”, guide sulla strada, non pecchiamo forse di guida parziale? Siamo allora ammissibili all’eucaristia?
2. Se noi estendessimo la stessa severità che adoperiamo per i temi “eticamente sensibili” (ridotti esplicitamente nei documenti magisteriali a matrimonio, aborto, scuola cattolica), a tutta la tematica morale, imposteremmo una linea tale che potrebbe vivere l’eucaristia solo una sparuta minoranza. Perché allora questa severità sul matrimonio (per ritornare al caso concreto riportato da don Guido)? Per la parola del vangelo? Ma Gesù ha detto parole altrettanto severe sulla ricchezza, sul potere, sulla falsità, sul tradimento, sul rigore nel lavoro, sulla preghiera, sul perdono…
3. Gesù ha predicato una morale o ha piuttosto aperto una via di pienezza, nella quale ci invita ad entrare con un animo insieme penitenziale ed escatologico? Non è forse perché la chiesa si limita al cabotaggio etico (eppure è stato detto “Vai al largo!”) che un critico come Steiner dice che “ci manca un principio speranza”? Non si sente qui una frustata a noi-chiesa di oggi?
4. Riguardo alle molte presenze del Signore con cui può comunicare anche un divorziato risposato, per favore usciamo dalla retorica. Le altre presenze di Cristo sono vere presenze? E allora: se la condizione di peccato della divorziata impedisce la comunione eucaristica, impedisce ogni altra comunione, perché, se uno è morto nell’anima (diciamo così, ma usate tutte le immagini che volete), è morto sia nell’ascolto della parola che nell’eucaristia. D’altra parte: se avviene una vera comunione e niente ostacola la comunione con Cristo nella comunità, perché allora non si può comunicare con Cristo eucaristia?
A me resta una tristezza nell’anima, quando vedo l’ultima moda ecclesiastica di citare l’eucaristia come forma di esclusione. Il sacramento della comunione viene usato come segno di interdizione! Certo, comunicare con Cristo-eucaristia è impegnativo, ma sempre comunicare con Cristo impegna tutta la vita, senza scuse, tutti.
Termino con le parole del bellissimo canto che liturgia ambrosiana ha sciolto il giovedì santo: «Oggi, Figlio dell’Eterno, come amico al banchetto tuo stupendo tu mi accogli. Non affiderò agli indegni il tuo mistero né ti bacerò tradendo come Giuda, ma ti imploro come il ladro sulla croce, di ricevermi, Signore, nel tuo regno!».
don Paolo Giannoni
eremo di Mosciano
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