giovedì 15 novembre 2007

PERCHE' DISAPPROVO L'ATTACCO AL "MOTU PROPRIO"

Carissimi di “Settimana”,
sono un sacerdote che ha superato gli 80 anni, che dopo aver esercitato la funzione di parroco per 44 anni, sono ora considerato “emerito”. Ebbene, pur avendo gli anni, nella mia ancora vivacità e interesse per tutto ciò che mi circonda, sento il dovere di stimmatizzare con codesto mio scritto l’atteggiamento del liturgista Barile, nei riguardi del motu proprio del papa e circa l’agire personale del santo padre Benedetto XVI.
Voglio sperare che Settimana pubblichi le mie osservazioni, anche se non consone al taglio odierno del settimanale (vedi per esempio la lettera pubblicata sul n. 30 dal titolo “L’obiettivo non è il latino, ma il concilio”).
Vorrei intitolare le mie osservazioni sofferte, con un titolo già abbastanza eloquente: “Un Barile di aceto contro il Santo Padre”. Il paginone da voi pubblicato su Settimana n. 31 non è altro che una feroce critica al motu proprio del santo padre e, addirittura, all’atteggiamento personale di Benedetto XVI.
Del paginone di Barile non si salvano altro che poche righe finali; giusto per non essere tacciato da aperto ribelle.
Al Barile, da presbitero anziano e rispettoso dell’autorità del pontefice, sottopongo alcune righe di Punti fermi di Von Balthasar. Le righe, anche se riferite dal Balthasar a personaggi clericali contrari al papa, per altri motivi e al tempo del concilio, ben si addicono al Barile di oggi. «I cristiani magniloquenti, per lo più sbirri clericali solleciti di menar colpi su Roma, possono studiare i propri volti sulle caricature di Bosch o di Brueghel. Non manca certamente ad essi un seguito di ammiratori, tanto sono umoristici» (pag. 174). Von Balthasar su Punti fermi sottolinea infatti la sua preoccupazione di salvaguardare i punti essenziali del cristianesimo, perché in questi tempi – scrive – si son messi in discussione molti punti essenziali come l’autorità del papa, la divinità di Cristo...: «Se la critica – dice ancora – non si basa sull’amore, non serve a guarire nessuna ferita. Il critico che non è spinto dall’amore, fa piuttosto la figura di uno che si gratta rabbiosamente la propria pelle. Gli acidi corrosivi che oggi vengono usati nel cuore delle persone ben difficilmente provengono dal laboratorio di coloro che amano Dio» (pag. 290).
Mi piace ancora citare padre Cantalamessa da La vita nella Signoria di Cristo pag. 272: «L’obbedienza a Dio non distoglie dall’obbedienza all’autorità visibile istituzionale, ma, al contrario la rinnova, la rafforza e la vivifica al punto che l’obbedienza agli uomini diventa il criterio per giudicare se c’è o meno l’obbedienza a Dio. Che fare nelle circostanze in cui ti trovi titubante? Non serve a nulla moltiplicare le rievocazioni o gli autodiscernimenti».
Cito infine – sempre per il Barile e i suoi sostenitori – un testo che reputo assai consono dal Catechismo della chiesa cattolica pag. 243 art. 892: «L’assistenza divina è inoltre data ai successori degli apostoli, quando, pur senza arrivare ad una definizione, propongono nell’esercizio ordinario, un insegnamento che riguardi la fede e i costumi. A questo insegnamento ordinario i fedeli devono aderire con religioso ossequio».
Dopo le citazioni, sottopongo a voi di Settimana un quesito, che, in questi ultimi tempi, è circolato sulla bocca di molti, di fronte a comportamenti non proprio ortodossi di alcuni ecclesiastici o appartenenti a ordini religiosi: «Ma dove sono i superiori che devono vegliare sull’ortodossia e sull’atteggiamento dei propri sottoposti? Perché questa autorità non richiama il Barile (e anche altri...) che criticano il santo padre in una maniera così brutale? A che ordine appartiene il Barile e voi di Settimana? Ma forse per il Barile l’obbedienza non è altro che una virtù che ci porta a far compiere dal superiore la nostra volontà?».
Prego infine il Signore misericordioso perché gli “appunti” rilevati dal Barile, con tanta sfrontatezza circa il motu proprio e l’azione personale del papa, non abbiano a suscitare l’“effetto domino” che il Barile paventa in seno alla chiesa.
Vogliate scusare il mio sfogo. Vi ringrazio in anticipo se reputerete che io abbia un riscontro sulle vostre pagine.
Auguro a voi tutti responsabili di Settimana una più consona ortodossia e disciplina.

don Mario Buongarzoni (MC)

«Per non sbagliare, dobbiamo sempre ritenere che quello che vediamo bianco sia nero, se lo dice la Chiesa gerarchica» (S. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, Regole 365, 13a). «Voglio che si dica di me (...) che sono stato un sacerdote di fede viva, semplice, (...) col Papa e per il Papa, sempre, anche nelle cose non definite» (Giovanni XXIII, Il Giornale dell’anima 407). Lei mi richiama a questo spirito, se non che il secondo testo citato (del 1903) prosegue: «Non disprezzo la critica, e tanto più mi guarderò bene dal pensare sinistramente o dal mancar di rispetto ai critici; la critica anzi l’amo» (408). La parola “critica” qui ha un altro significato da quello dell’articolo, ma ad esso può agganciarsi nel senso dell’esigenza di tenere insieme l’ascolto e l’obbedienza da una parte e la riflessione critica dall’altra.
Cercherò di essere dolce, sapendo che, secondo una massima salesiana, si prendono più mosche con un cucchiaio di miele che con cento barili di aceto e, partendo dalla dolcezza, confesso che la sua lettera denota una lunga esperienza di vita, che è più apprezzabile delle frasi firmate Dorabella, Imogene, Elettra, Lindoro, Foresto ecc. (uso nomi fittizi per evitare quelli veri), che in un certo sito Internet appaiono senza cognome (cioè senza responsabilità) e, lungi dall’affrontare i nodi del dibattito, si limitano a rilievi emozionali. La critica di costoro (uso alla lettera parole del card. Ratzinger su Falsini) «è ai miei occhi superficiale e senza valore» (La Maison-Dieu 2002/2,119).
Va da sé che la presente risposta non è un dibattito personale, ma un chiarimento di ciò che può interessare i lettori. In questo senso affermo che nell’articolo non c’era nessuna protesta di disobbedienza né incitamento alla stessa, ma, presupposta l’obbedienza, alcune riflessioni critiche in due direzioni.
Anzitutto la posizione di problemi originati dal testo e dal contesto del motu proprio, anche e principalmente in relazione ad altre affermazioni e consuetudini magisteriali. E quasi ogni giorno ne sorgono altri, ad esempio: che cosa si intende esattamente per “gruppo stabile” e con “formazione liturgica” relativa al Messale del 1962? che cosa si intende laddove si dichiara la possibilità di usare letture “approvate”: quelle del Messale del 1962 o dell’attuale Lezionario? perché “i superiori” non intervengono quando, come è già accaduto, si celebra la messa di S. Pio V non come azione pastorale verso un gruppo stabile, ma per creare un evento a cui prende parte chi vuole? Sollevare ed esaminare serenamente questi problemi è compatibile con un atteggiamento pratico di vera obbedienza – V. Croce nel n. 33 di Settimana è andato ben oltre – ed è in fondo nello spirito del card. Ratzinger, il quale scrisse che accettava interiormente il Messale di Paolo VI, ma che nei particolari «non considero ciascuna delle decisioni prese come la migliore possibile» (ivi 116).
In secondo luogo l’articolo conteneva cenni al percorso personale di Ratzinger. Qualcosa del genere è stato avviato da P.M. Gy in La Maison-Dieu 2002/1,171-178, cui lo stesso Ratzinger rispose (La Maison-Dieu 2002/2,113-120). Ognuno di noi ha una storia, dalla quale le sue tendenze/preferenze dipendono. Esaminare tutto questo aiuta a comprendere meglio, ma non significa contestare l’autorità di chi prende una posizione, né mostrarsi irriverenti verso la dignità del personaggio. Al limite, significa osservare che una certa scelta non è tra le migliori e che dipende da un vissuto. Sollevare ed esaminare serenamente questi problemi è compatibile con un atteggiamento pratico di vera obbedienza.
Concludo con due cenni alle citazioni di Balthasar.
I volti caricaturali di Hieronymus Bosch († 1516) sono una citazione un po’ pericolosa poiché nel famoso quadro del Carro di fieno i volti caricaturali e bestiali sono di quanti tirano il carro, mentre i volti seri sono di laici per bene, frati, monache, re e imperatori, cardinali e papi che raccolgono fieno e seguono il carro di fieno, cioè la vanità di questo mondo.
Infine «se la critica non si basa sull’amore, non serve a guarire nessuna ferita»: ci mancherebbe! Diamo per scontato che l’articolo di cui lei parla non si basi sull’amore. Ma la sua lettera distilla nettare d’amore? le dichiarazioni dei levebvriani si basano sull’amore? le espresse simpatie di alcuni politici per la messa di s. Pio V sono guidate dall’amore?

Riccardo Barile

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