giovedì 15 novembre 2007

SULLA SETTIMANA SOCIALE DI PISA E PISTOIA

Caro direttore,
di ritorno dalla Settimana Sociale di Pistoia e Pisa, come delegazione novarese ci siamo confrontati su quanto avevamo vissuto insieme durante i lavori. Ne sono scaturite alcune considerazioni personali che inviamo a Settimana.
A me preme sottolineare un fatto, forse poco appariscente ma rivelatore del clima che si è respirato: la constatazione che la stragrande maggioranza dei relatori erano docenti universitari e di questo se ne sono accorti anche i responsabili delle giornate quando, ad un intervento di don Oreste Benzi sul recupero delle “ragazze di strada”, il moderatore di turno ha detto che don Benzi non doveva intervenire facendo una domanda, ma stare dalla parte dei relatori.
Questa dicotomia tra relazioni interessanti, corpose, di alto livello, a volte forse fin troppo accademiche, la si percepiva ancora di più quando al fine di ogni conferenza si apriva il dibattito con i delegati (espressione di un cattolicesimo sociale molto radicato nella vita del popolo italiano), i quali con interventi puntuali e precisi mettevano a fuoco problematiche scottanti riguardanti il vissuto concreto delle nostre comunità e riscuotevano applausi scroscianti, a volte anche un poco imbarazzanti per gli stessi conferenzieri.
Alessandro Plotti, vescovo di Pisa, nell’omelia conclusiva della messa celebrata nel magnifico duomo, riprendendo il tema della cittadinanza, ricordava a tutti con tono perentorio, come nella chiesa non c’è e non ci deve essere cittadinanza per i “profeti di sventura”. I cattolici italiani, invitati a chinarsi sui feriti della storia d’ogni tempo, sono perciò sollecitati ad essere testimoni di speranza.

don Mario Bandera
Centro missionario diocesano
e dell’Ufficio pastorale del lavoro

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Tra i molti applausi che normalmente scandiscono il tempo dei convegni e che in qualche misura segnano gli umori, le tendenze e forse anche “il tifo” dei partecipanti, nella Settimana Sociale di Pistoia e Pisa, tre mi sono rimasti particolarmente impressi per durata e intensità.
Il primo è stato scatenato dall’intervento di un anonimo partecipante (di cui non ricordo il nome!) che dal palco ha garbatamente rimproverato agli organizzatori l’invasiva ed esclusiva presenza di professori universitari sul palco dei relatori a fronte della disarmata assenza dei poveri: «e i poveri, si chiedeva, che sono il soggetto della Settimana e che più di altri dovrebbero essere fruitori del bene comune, dove sono? Perché non riusciamo a trovare i modi per dar loro la parola?».
Il secondo applauso è andato a Stefano Zamagni, ordinario di economia politica presso l’università di Bologna. Il relatore mi ha coinvolto per la lucidità, la coerenza e gli spunti innovativi di una relazione, forse tra le più interessanti della Settimana. «I veri poveri sono i giovani. Stato e mercato da soli non bastano, occorre dare spazio all’impresa sociale, alla cooperazione sociale, evitando il pericolo della filantropia e dell’assistenzialismo. Precarietà è il nuovo nome della povertà e dell’insicurezza e pertanto non ci può essere solidarietà senza una presenza attiva e partecipata all’interno dei percorsi produttivi».
Il tema chiamava in gioco la “concezione antropologica” e dintorni, ma la stragrande maggioranza dei partecipanti avrà pensato di primo acchito ai molti giovani delle nostre comunità, non solo disoccupati o sottoccupati, ma anche disamorati della vita sociale e politica, impossibilitati a emergere perché impediti di immergersi nella “vita che conta”. Una delle risposte, che ha favorito l’applauso al professor Zamagni, è stata la proposta di «costruire una democrazia deliberativa come risposta positiva all’antipolitica». Non si deve temere la globalizzazione economica, giustificata come un’«opportunità provvidenziale che permette di rendere i lontani prossimi» ma, al contrario, è importante costruire una democrazia dove la persona sia al centro ma la relazione sia lo stile di vita.
L’ultimo applauso è stato dedicato a quel personaggio, ridondante e fuori dalle righe che è sempre don Oreste Benzi: simpaticamente goffo nel suo porgere, ma straordinariamente efficace nei contenuti; un bagno di realismo di fronte alla tentazione sempre presente di perdersi tra le nuvole: «Il primo nemico del bene comune siamo noi!». Non ci sono molte novità nelle parole di don Oreste: prostitute, tossici, orfani di ogni tipo, detenuti e ri-detenuti sono “la corte dei miracoli” di questo inquietante prete che ci ricorda ancora che il bene comune o passa anche attraverso queste categorie oppure è solo bene di pochi. Ripercorrere con lui i sentieri delle povertà è un’immersione evangelica, un’occasione per leggere il futuro dell’uomo negli occhi di Dio. E allora, don Oreste, prenditi anche questo ultimo applauso del cuore!

don Dino Campiotti
direttore Caritas diocesana

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Si potrebbe dire che questi grandi convegni sono un po’ come la Rai “Di tutto di più…”. Anche a Pistoia e a Pisa si è detto un po’ di tutto. Si sono toccati, come quasi sempre accade, i cosiddetti valori “non negoziabili” come la vita, la famiglia, la persona, la libertà…
Si sono poi sottolineati anche altri “nodi” importanti della società, come il diritto alla casa, al lavoro. Non sono mancati i riferimenti alla pace, al disarmo, alla nonviolenza. Ma il richiamo a questi valori sono stati fatti più dai partecipanti, dai vari rappresentanti delle realtà locali che lavorano quotidianamente, sul campo.
Ha scritto il quotidiano Avvenire lo scorso 20 ottobre: «Così può capitare che una regia piacevolmente “toscana”, con ironia e profezia, dia la parola l’uno dietro l’altro a don Fabio Corazzina di Pax Christi e a don Enrico Pirotta, cappellano militare…». Don Fabio ha richiamato l’importanza di pronunciarsi, secondo la Populorum progressio, sul valore della nonviolenza evangelica e sul disarmo. «Le comunità cristiane – ha detto – dovrebbero sostenere economie e politiche di disarmo sui loro territori e promuovere una spiritualità, che valorizzi la scelta nonviolenta». Infine, ha rivolto un invito perché «il nostro denaro non abbia a che fare con le banche armate». Come dire che anche questi dovrebbero essere considerati valori “non negoziabili”.
Molti altri interventi hanno richiamato all’impegno e alla testimonianza credibile e coerente su questi temi. «Una chiesa di parte – diceva don Fabio ricordando don Tonino Bello –, non preoccupata dei segni del potere ma del potere dei segni». Certo, la strada è ancora lunga, anche nella chiesa.
La novità del dialogo quasi stupisce o addirittura fa paura. Avvenire, facendo la cronaca dell’intervento di Pax Christi e del cappellano militare scriveva: «senza che volino gli stracci», denotando un certo stupore di fronte ad un metodo del dialogo e del confronto che, pur partendo da posizioni diverse, resta franco e leale, imprescindibile in ogni caso per costruire rapporti di pace e che dovrebbe essere caratteristica comune nel cammino di tutti i giorni della comunità cristiana.

don Renato Sacco
Comm. dioc. Giustizia e pace

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«Non è dunque questo un tempo di indifferenza, di silenzio e neppure di distaccata neutralità o di tranquilla equidistanza…». Credo che questa citazione del card. C.M. Martini esprima molto bene il mio stato d’animo al ritorno dalla Settimana Sociale.
È stata per me la prima esperienza di partecipazione ad un momento importante della vita della nostra chiesa e vi ho partecipato con molto entusiasmo perché credo sia quanto mai urgente che si pongano al centro dell’azione pastorale i temi sociali.
Vivendo ogni giorno a contatto con i problemi del lavoro e delle nuove povertà e notando quanto incida in molte famiglie l’assenza del lavoro, ho apprezzato molto le parole del papa, nel saluto inviato a tutti i convegnisti, quando rimetteva al centro della questione sociale il problema della precarietà e del lavoro quali discriminanti per il raggiungimento del vero “bene comune”.
È a mio parere il “lavoro buono”, ovvero quel lavoro che rimette al centro l’uomo, che gli ridona la sua dignità, che gli permette di costruire un progetto di vita serio e duraturo, che come cristiani abbiamo il dovere di promuovere. Per troppo tempo abbiamo messo da parte le questioni sociali relegandole ad oggetto di convegni ma non le abbiamo mai assunte come paradigma vero del nostro agire pastorale.
È tempo di passare all’azione concreta, ad un impegno vero che sia di denuncia della precarietà, dello sfruttamento e di promozione del lavoro a misura d’uomo. Mi è dispiaciuto che sia mancato in questo convegno il riferimento ai tanti fratelli stranieri che vengono nel nostro territorio per trovare un lavoro e troppo spesso sono vittime di sfruttamento. Molti di loro condividono con noi la stessa fede e credo che ad appuntamenti di questo genere anch’essi debbano trovare cittadinanza. Anche così potremo vincere l’indifferenza, dare speranza alla nostra chiesa e alle nostre comunità e costruire insieme il bene comune.
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Elena Ugazio
presidente Acli Novara

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Era la prima volta che partecipavo ad un’assise così importante come le Settimane Sociali tenutasi a Pistoia e Pisa, il mio coinvolgimento è legato al fatto che da anni partecipo ai lavori della Commissione regionale per la salvaguardia del creato, dove in più occasioni sono stati sottolineati i vari problemi inerenti all’ambiente del Piemonte.
Per la verità questo aspetto, nel più vasto contesto del tema generale legato al “bene comune”, è stato poco trattato. Certo, i problemi con i quali ci siamo confrontati erano enormi e spaziavano a 360° sui problemi socio-economici del nostro paese. Va detto, però, che durante gli interventi è stato ricordato come il “bene comune” racchiude in sé l’attenzione ad una tematica così caratteristica come quella legata al rispetto dell’ambiente, agli sprechi e ai rifiuti che la nostra società consumistica continua a produrre. La stessa cosa si può affermare quando si parla dell’acqua, bene essenziale necessario alla vita. Essa dev’essere una risorsa per tutti e non un privilegio per pochi. È anche stato fatto notare che esiste nell’opinione pubblica italiana poca sensibilità etica su questo tema, anche a livello di coscienza cristiana, tanto che, quando si provoca un danno all’ambiente, questo non viene percepito nella sua gravità.
Le tematiche che si sono succedute in questi cento anni di Settimane Sociali hanno sempre toccato argomenti legati al cammino della società italiana; il tema dell’ecologia, essendo un argomento apparso solo da qualche anno come emergenza che riguarda tutti, avrà certamente un ruolo di primo piano nelle future Settimane Sociali.

Claudia Sgarabottolo
Ufficio pastorale del lavoro
Comm. Reg. Salvaguardia del creato

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