giovedì 15 novembre 2007

VERSO LA FINE IN EUROPA DELLE "MISSIONI AD GENTES"

Caro direttore,
mi chiamo Angelo Falchi, sono un ex missionario d’emigrazione, sono stato in Inghilterra dal 1982 al 1989, prima a Londra-Enfield poi a Bradford. La mia diocesi è San Miniato.
Vorrei esporre un problema che mi ha amareggiato per l’intera estate e che, affrontato dalla sua rivista, forse potrebbe trovare una soluzione. Si tratta della situazione delle missioni per i lavoratori italiani in Europa, che fanno capo alla “Migrantes”. Mi occupo solo di quelle in Gran Bretagna, che conosco molto meglio delle altre, anche se quelle in altri Paesi europei non mi sono sconosciute.
A metà agosto il mio successore nella missione di Bradford per ragioni di salute ha dovuto lasciare ed è rientrato nella sua diocesi in Italia. Ora quella missione è in attesa di avere un nuovo missionario, che non si trova; o se qualcuno presenta una certa disponibilità a tale impegno pastorale, non trova apertura da parte del suo vescovo.
Lo scorso luglio ho potuto constatare “de visu” il bisogno che ancora c’è di un sacerdote italiano in quelle comunità (non solo Bradford, ma anche nelle città attorno come Halifax, Huddersfield, Keighley, Leeds…, dove mensilmente non è mai mancata la presenza e l’opera del sacerdote, molto apprezzata dal clero e dal vescovo locale. Ho sentito con i miei orecchi il lamento angosciante delle persone che collaborano strettamente con la missione all’idea di rimanere soli, dopo la partenza del missionario, ed un ritornello, che andavano ripetendo e che mi prendeva dentro: «Non ci lasciate soli, non ci abbandonate!».
Ho potuto vedere come è cresciuto in questi anni, anche tra i giovani, il senso di appartenenza alla comunità cristiana, la gioia di essere italiani, lo spirito di solidarietà tra loro e di collaborazione con la missione, perché si potesse raggiungere il maggior numero possibile di persone. La felice opportunità che capitò sul finire del mio mandato a Bradford, che permise di acquistare, sia pure con enormi sacrifici (lo scrivente ben li conosce tutti!) l’attuale sede (1988), si è rivelata, credo, nel tempo la principale causa della costante aggregazione della comunità. Avere una sede propria – con tutte le comodità che consentono il culto, la vita associativa, la scuola per i bambini, il patronato, il ritrovo per gli anziani, il calore umano che caratterizza questi momenti di ritrovo e che fa sentire questi nostri connazionali meno soli e più uniti - ha contribuito alla crescita umana e cristiana della gente.
Mi sembrerebbe un vero peccato se le aspettative – quelle della gente che è rimasta sola – venissero disattese; a Bradford occorre ancora per qualche anno un missionario. Quello dell’integrazione ormai avvenuta è un discorso che si fa a tavolino, ma che mostra la corda non appena si sta con questa gente.
Faccio una proposta, sulla quale mi piacerebbe si aprisse un confronto. Molte diocesi, quelle più grandi e meglio organizzate hanno fondato nel passato “missioni ad gentes” in varie parti del mondo e continuano a guidarle con uomini e mezzi. Le diocesi più piccole non possono permettersi una cosa di questo genere. Ma perché non affidare a queste diocesi il compito di assicurare la presenza di un sacerdote in una determinata missione (in territorio europeo), dove sono presenti i nostri connazionali al lavoro, come se fosse territorio metropolitano della diocesi stessa? Il vescovo italiano “presterebbe” un suo sacerdote al vescovo di quella nazione per il lavoro specifico tra gli italiani. È ovvio che il sacerdote seguirebbe le indicazioni del vescovo locale e lavorerebbe per favorire la migliore integrazione nella comunità cristiana locale. (Non l’abbiamo sempre fatto? Ricordo che negli anni della mia presenza in Gran Bretagna si diceva che la missione migliore era quella che lavorava per la propria scomparsa!). Di fatto, però, i tempi forse non sono ancora maturi per cantare il “requiescat in pace” di queste missioni, c’è ancora vitalità, che va canalizzata, ma non abbandonata a se stessa. Sarebbe una specie di sacerdote “fidei donum” all’interno della comunità cristiana; sarebbe un primo passo verso la nuova stagione di “missio ad gentes” che la Cei si accinge a varare per la chiesa italiana.
Non mi è chiaro un aspetto: quando diventai prete io (nel 1967) si diceva che si era “preti per la chiesa”; a distanza di anni mi ritrovo a sentire che si è “vescovi per la diocesi”. E il paolino «assillo quotidiano per tutte le chiese» che fine ha fatto?

don Angelo Falchi
56036 Forcoli (PI)

Nessun commento: