giovedì 15 novembre 2007

ANCORA SUL MOTU PROPRIO

Cara Settimana,
sono anch’io un sacerdote ultraottantenne che, per più di vent’anni, ha celebrato secondo il vecchio rito con attenzione, partecipazione e spesso con gioia, ma che non lo rimpiange perché sa che con il nuovo rito, oltre al fatto di essere capito dalla gente, ha guadagnato in termini di valorizzazione della Parola, di coinvolgimento del popolo di Dio, di recupero della dimensione conviviale all’eucaristia. Che su questi aspetti, come su certi pericoli che alcune scelte possono comportare (e si vanno purtroppo verificando) venga richiamata l’attenzione dell’autorità con il dovuto rispetto, come ha fatto senz’altro p. Barile, mi pare non solo legittimo ma doveroso quale contributo per il bene della chiesa, come riconosce anche il Codice di diritto canonico al can. 212 § 3.
Perché mi paiono bene dette, chiudo con le parole di Enzo Bianchi: «Noi cattolici, ma per convinzione profonda che il vescovo di Roma è il servo della comunione ecclesiale, obbediamo anche a prezzo di fatica e di sofferenza e di non piena convinzione di ciò che viene chiesto».
fra E. Vallauri ofmcap (Tortona)

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