giovedì 15 novembre 2007

UNA RIFLESSIONE A PARTIRE DAGLI ULTIMI FATTI DI CRONACA

Caro direttore,
mi permetto di scrivere queste riflessioni dopo alcuni avvenimenti che, ampiamente supportati dai mass media, hanno creato all’arme in molte persone.
È chiaro che ogni crimine, ogni delitto, ogni omicidio, è sempre un episodio sconvolgente, che fa inorridire la coscienza di ciascuno ma, quando a commettere un delitto sono dei rom, sembra che il crimine diventi particolarmente odioso e l’assassino si trasforma in un mostro esecrabile da sbattere in prima pagina.
I recenti fatti di Roma sono lì a dimostrare come ogni qualvolta succede un gesto efferato come la violenza e l’uccisione di una giovane donna indifesa, perpetrato da un cittadino rom, scateni una reazione violenta che si ripercuote su altri cittadini innocenti, colpevoli solo, in quanto rumeni, di provenire dalla stessa nazione dell’assassino.
Gli zingari, siano essi rom, sinti ecc., da secoli sono discriminati ed emarginati, la loro semplice apparizione in un qualsiasi comune o borgata delle nostre città, scatena una repulsione immediata per la fama poco onorevole che li accompagna. Nell’immaginario collettivo essi sono visti come ladri, rapitori di bambini, per non dire di peggio Ma quello che sconcerta ancora di più, è che i rom non sembrano preoccuparsi di questa nomea che si sono procurati con alcuni loro atteggiamenti ripugnanti come il furto a danno dei più deboli o il mandare i bambini ad elemosinare lungo le strade, allontanando sempre più un difficile ma non impossibile inserimento nella nostra società.
Nel passato molti governanti hanno tentato di porre soluzione al problema degli zingari attraverso delle leggi che costantemente li mettevano al bando; Hitler, unitamente agli ebrei, attuò la soluzione finale anche nei loro confronti: con teutonica obbedienza e determinazione le SS si diedero da fare per rastrellarli da tutta Europa e infilarli nelle camere a gas. La sconfitta del nazismo evitò che questo criminale disegno si compisse, e lascia l’amaro in bocca a chi oggi, visitando i vari campi di stermino, scopre che ci sono lapidi e cippi che ricordano tutte le vittime dei popoli soggiogati dal nazismo, ma stranamente non c’è nessun ricordo che faccia memoria delle migliaia di vittime del popolo zingaro.
Non è certamente facile il dialogo con chi vive ai margini della società e della legge, ma lasciare che un corpo estraneo viva perennemente senza un minimo di contatto vitale con altre persone è ancora più deleterio. In una società multietnica e multiculturale come quella che si va delineando in Europa, non si può pensare di erigere mura che separano o ghettizzano, ma dev’essere un punto centrale delle istituzioni costruire ponti che favoriscano la conoscenza e il dialogo reciproco.
La comunità cristiana, sotto questo profilo (proprio perché il mondo celtico-pagano circostante invoca “soluzioni forti” nei confronti dei rom), ha il dovere di percorrere tutte le strade che instaurino rapporti non solo di tolleranza, ma di rispetto e, perché no?, d’amicizia.
Diverso il discorso relativo rumeni. Il fatto che la Romania sia entrata a far parte dell’Unione Europea, pone i rumeni nella privilegiata condizione di potersi muovere senza nessun problema all’interno degli stati membri. In Italia essi sono la prima comunità straniera e, purtroppo, stando alle statistiche, anche la prima comunità per numero di reati.
Il fatto che il presidente rumeno si sia affrettato a venire in Italia dopo i fatti di Roma a discutere con Prodi i problemi legati alle relazioni tra i due paesi, la dice lunga su come la posta in gioco dal punto di vista economico sia altissima. Se la presenza dei rumeni in Italia ha raggiunto cifre ragguardevoli garantendo attraverso le rimesse degli emigranti entrate sostanziose al bilancio rumeno, va anche tenuto presente che sono oltre ventimila le imprese italiane operanti in Romania. Ci sono, quindi, tutte le premesse per tentare di smorzare sul nascere una pericolosa escalation razzista che sarebbe causa di crescenti disagi per tutti.
Il cammino dell’integrazione è un cammino difficile da percorrere, soprattutto tenendo conto che chi ha vissuto per anni sotto il tallone di Ceaucescu ha sviluppato un senso di rifiuto per le leggi inique che l’opprimevano, e questo ha portato ad una “forma mentis” collettiva che relativizza di molto i principi morali. Tutto ciò non per giustificare chi delinque ma per comprendere che, alla base di tutto, c’è il bisogno immenso di costruire non solo una cortese tolleranza da parte nostra, ma un cammino pedagogico di formazione delle coscienze a cui tutti sono chiamati, in modo particolare il mondo istituzionale.
Alla luce di questi fatti, possiamo dire che la presenza del male nel mondo va contrastata vivendo fino in fondo la logica del Vangelo. È il caso di ricordare che esso si basa sull’amore e non sull’odio, né tantomeno sul rifiuto dell’altro. Ricordarcene in questi tempi può contribuire a costruire una società più consona al rispetto dei diritti dell’uomo, chiunque esso sia.

Mario Bandera (NO)

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