martedì 19 dicembre 2006

IN ASCOLTO DI QUANTO È STATO DETTO AL CONVEGNO DI VERONA

Un dialogo più stretto fra vescovi e laici

Cara Settimana,
prima, durante e dopo il convegno ecclesiale di Verona è emerso sempre più chiaramente che uno dei problemi fondamentali della chiesa in Italia è una maggiore valorizzazione dei laici nella chiesa; più esattamente, un dialogo più stretto fra vescovi e fedeli laici, per comprendere meglio «quello che lo Spirito dice oggi alla sua chiesa», per leggere «con discernimento evangelico i segni dei tempi» (le sfide epocali!), per scrutare l’aurora e capire quale modello di cristianesimo sognare e progettare per il futuro della chiesa in Italia.
Qualcuno ha osservato che c’è una specie di afasia del laicato nella fase di ricerca e di preparazione di decisioni importanti. Qualcuno si è domandato se è possibile accettare una pura e semplice identificazione fra chiesa italiana e conferenza episcopale.
Addirittura, da più parti si è proposto di dare vita ad un organismo permanente di partecipazione dei laici alla vita della chiesa, una specie di “Consiglio pastorale nazionale”, ovviamente in piena comunione con i propri pastori.
Insomma, è fortemente avvertito il desiderio di un maggior “dialogo domestico” (Paolo VI), l’urgenza di uno “spazio” di ascolto reciproco e di confronto fra tutte le componenti ecclesiali, in modo franco e leale.
Proprio a sostegno di questo desiderio, voglio ricordare un testo bellissimo, audace e molto pertinente al nostro problema, di un grande pontefice: s. Gregorio Magno (papa dal 590 al 604). Il testo appartiene alla sua opera Moralia in Job, XXX, 27, 81: PL 76, 569C. Nell’approfondimento di un passo difficile della Scrittura, presenta due possibili interpretazioni, ma aggiunge: «Lascio al giudizio del lettore scegliere l’interpretazione che preferisce. Se poi nessuna delle due spiegazioni che io propongo soddisfa il mio lettore, ben volentieri io seguirò lui, se riesce a trovarne una più consona al testo e più profonda; lo seguirò come un discepolo segue il maestro («velut magistrum discipulus sequar»!), perché ritengo donato a me personalmente ciò che egli intende meglio di me. Infatti tutti noi che, pieni di fede, osiamo parlare di Dio, siamo strumenti della Verità («omnes organa veritatis sumus»!). E la Verità può far sentire la sua voce tanto per mezzo mio ad un altro, quanto per mezzo di un altro a me. Essa sta in mezzo a noi e ci tratta tutti con equità, anche se noi non sempre ci comportiamo con equità».
Se questa parola, sublime e audace, di s. Gregorio Magno vale per l’interpretazione della Scrittura, a maggior ragione può valere per il discernimento evangelico dei segni dei tempi.
Come sarebbe stato bello se qualche vescovo a Verona avesse avuto il coraggio (la parresia) di ricordare queste parole del grande Gregorio!
Grazie per l’attenzione e auguri per il vostro lavoro.

don Giovanni Marcandalli (MI)

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