Tribunali ecclesiastici
siamo al collasso?
Caro direttore,
permettimi di dire la mia opinione su un argomento spinoso per la sua delicatezza e per le professionalità che vi vengono coinvolte.
Dà vistosi segni di cedimento la complessa struttura dei tribunali ecclesiastici matrimoniali, chiamata a risolvere il problema di quei fedeli cristiani che, dopo il fallimento del loro matrimonio, desiderano rifarsi una vita.
All’aumento vertiginoso delle richieste di nullità risponde una carenza di personale in possesso dei requisiti previsti dalle norme canoniche per dare una sollecita risposta alle legittime attese di fedeli.
Chi ha alle spalle un matrimonio fallito, e vuole osservare fino in fondo le direttive del magistero, non può attendere per anni la risposta del tribunale. Perciò si spiegano le lamentele e le proteste dinanzi alle lunghe attese per l’avvio del processo e per la sua conclusione nei termini ragionevoli fissati dalle norme canoniche.
Affidare a laici di buona volontà l’ufficio di giudice istruttore? Di fronte a questa drammatica situazione, i responsabili di qualche tribunale ecclesiastico matrimoniale hanno trovato un facile rimedio: visto che non è possibile improvvisare un giudice ecclesiastico, hanno pensato di chiamare laici, con una certa esperienza di diritto e di tribunali (magistrati civili in pensione, avvocati, cancellieri...), per nominarli uditori a norma del can. 1428 del Codice di diritto canonico e affidare loro l’istruttoria dei processi matrimoniali. In tal modo i giudici che dovranno emettere la sentenza saranno sgravati del lavoro più oneroso di ascoltare le parti e i testimoni e di verbalizzare le loro deposizioni.
L’ipotesi formulata da questi tribunali ha un qualche riferimento alle norme canoniche. Infatti il § 2 del can. 1428 recita: «Il vescovo può approvare all’incarico di uditore chierici e laici, che rifulgano per buoni costumi, prudenza e dottrina».
Si tratta, però, di spiegare che cosa intende il legislatore per “dottrina”. Mi sembra fuori discussione che il termine “dottrina” debba riferirsi alla teologia e al diritto canonico. Inoltre, non può trattarsi di una generica conoscenza di problemi giuridici, perché il processo di nullità matrimoniale suppone anzitutto la conoscenza della natura, delle proprietà e del fine del matrimonio/sacramento e, in secondo luogo, la cognizione delle norme procedurali previste dal legislatore canonico per acquisire le prove necessarie al pronunciamento dei giudici.
Queste conoscenze non possono essere acquisite in una serie di “lezioni” alle quali gli aspiranti uditori potranno essere obbligati a partecipare prima di ricevere la nomina e l’incarico.
Qualsiasi ordinamento giuridico richiede come garanzia minima per esercitare l’ufficio di giudice: un regolare corso di studi, il conseguimento di uno specifico titolo accademico, il possesso di una certa esperienza. Né si può ritenere che un corso di laurea in giurisprudenza conseguita nelle università statali sia sufficiente per ricoprire nei tribunali ecclesiastici l’ufficio di giudice istruttore e l’esperienza accumulata nei tribunali civili e penali dello stato sia equivalente a quella necessaria per istruire un processo di nullità matrimoniale.
Una soluzione contraria all’indirizzo del magistero. Proprio qualche anno fa, una discussa riforma del corso di laurea in diritto canonico nelle università pontificie ha imposto agli studenti, che vogliono iscriversi alla facoltà di diritto canonico, il conseguimento di un titolo di studio in teologia.
Il nuovo indirizzo, fortemente voluto dalla Congregazione per l’educazione cattolica, mira ad assicurare che sia garantita una conoscenza teologica di base soprattutto a quei laici che intendono conseguire la laurea in diritto canonico per svolgere la professione di avvocato nei tribunali ecclesiastici.
Mentre le autorità ecclesiastiche si sono dimostrate decise a intraprendere una riforma impopolare, superando aperte critiche e comprensibili malumori, la scelta che intendono fare i responsabili di questo tribunale ecclesiastico matrimoniale sembra andare in senso opposto. Non si riesce a capire come mai per svolgere l’ufficio di avvocato nei tribunali ecclesiastici si debba pretendere una licenza in teologia e una laurea in diritto canonico, mentre per svolgere l’ufficio molto più impegnativo di giudice istruttore non sia necessario uno specifico titolo di studio.
L’istruttoria è una fase marginale del processo? Alla base di questa discutibile scelta c’è anche un’errata valutazione del ruolo del giudice istruttore. Chi ha esperienza in questo settore sa bene che il vero e proprio processo si svolge in istruttoria. È il giudice istruttore che incontra le parti e i testimoni, che pone loro le domande appropriate, che verbalizza le risposte, che valuta l’opportunità di approfondire o meno un filone di indizi. I giudici che emetteranno la sentenza conoscono il caso solo attraverso gli atti istruttori. Il loro compito, per quanto importante e decisivo, è condizionato da chi ha raccolto le prove. Non per nulla il giudice che emette la sentenza deve raggiungere la certezza morale «dagli atti e da quanto è stato dimostrato» (can. 1608 § 2).
Una diversa prassi per risolvere il problema de matrimoni falliti. Se, per smaltire il gran numero di processi di nullità matrimoniale che attendono di essere portati a termine nei tribunali ecclesiastici la via da seguire è quella ipotizzata, tanto vale dichiararsi incapaci di affrontare e risolvere il grave problema dei matrimoni falliti o decidersi una volta per sempre di affrontarlo in modo diverso. Di tanto in tanto qualche autorevole uomo di chiesa accende le speranze delle persone che attendono di trovare una soluzione ai loro problemi, avanzando ipotesi alternative all’attuale prassi.
Dinanzi alle crescenti difficoltà in cui versano i tribunali ecclesiastici sembra giunto il momento di mettere da parte le discussioni teoriche per passare alle attuazioni pratiche. In caso contrario, si dà adito ad iniziative, come quella illustrata, che svuotano di significato il processo di nullità matrimoniale per ridurlo ad una inutile formalità.
Adolfo Longhitano
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