mercoledì 31 gennaio 2007

FUTURI PRETI E OMOSESSUALITÀ

Nei confronti di quei giovani
come mi devo comportare?



Rev.do direttore,
mi è stato affidato il servizio di seguire e accompagnare ragazzi e giovani in ricerca vocazionale, non esclusa quella presbiterale o già messa positivamente in conto.
Pensando alla recente istruzione della Congregazione per l’educazione cattolica “Circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al seminario e agli ordini sacri” (4 novembre 2005), mi sto domandando se si debba fare subito un discorso su questa situazione che comporti indirettamente l’autoritirarsi, da un cammino vocazionale presbiterale per il semplice fatto che uno ha questa inclinazione. Tale scelta opportunamente potrebbe magari essere diluita nel tempo per non dare motivo di indebite supposizioni negative verso chi si ritira.
È ipotizzabile quest’altro comportamento: lasciar proseguire i soggetti, come se il problema non esistesse, fin tanto che la cosa non venga a conoscenza in foro esterno da parte dei formatori?
Un confessore che venisse a sapere di questa tendenza dovrebbe o sarebbe bene che dissuadesse subito il soggetto da una prospettiva vocazionale presbiterale o religiosa?
Nel caso che il soggetto, pur avendo questa tendenza e anche qualche esperienza in merito, se se ne fosse fatta una ragione per dare un taglio convinto, non assecondarla minimamente, voler vivere la castità, avere un dialogo schietto e ultratrasparente con un amico dell’anima e un formatore, il tutto fosse corroborato e sostenuto da una robusta e verificata vita spirituale, un tale soggetto potrebbe essere lasciato proseguire?
In altre parole, la semplice tendenza omosessuale esclude tassativamente la possibilità di diventare preti?
Un giovane incontrato per caso mi ha detto la sua intenzione di abbracciare la vita sacerdotale; mi ha anche messo al corrente della sua tendenza omosessuale. Quando gli ho fatto presente qualche perplessità in base al documento ricordato, mi ha controbattuto: ma come mai ci sono preti ad ogni livello, e ne conosco, che non solo hanno ma anche esprimono questa inclinazione? Confesso che mi sono sentito un po’ spiazzato.
Se fosse possibile una parola autorevole che mi illumini per servire correttamente la pastorale vocazionale, ne sarei molto grato.

lettera firmata

Caro sacerdote educatore, la lettera risolleva la questione emersa poco più di un anno fa a seguito dell’uscita del documento della Congregazione per l’educazione cattolica Circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al seminario e agli ordini sacri, da lei opportunamente richiamata.
È opportuno ricapitolare alcuni elementi del documento per evitare confusioni. Si parla in esso di tre condizioni nelle quali il candidato va fermato, sia rispetto all’ammissione al seminario come rispetto agli ordini sacri: si tratta di chi pratica l'omosessualità, di chi presenta tendenze omosessuali profondamente radicate o di chi sostiene la cosiddetta cultura gay.
Non è la stessa cosa parlare di omosessualità conclamata, praticata e radicata oppure parlare di inclinazione, magari pure transitoria, come nel caso delle tendenze omosessuali adolescenziali.
Va però sottolineato che il documento riguarda non solo chi si prende cura dei seminaristi, ma anche quegli educatori che si occupano dei cammini vocazionali precedenti. Affrontare con i formandi l’ambito della sessualità è certamente importante nel cammino di preparazione, perché la capacità di amare e l’assunzione della disponibilità al celibato sono da presupporre, e dunque da verificare, per un cammino di preparazione agli ordini sacri. Ciò però non va trasformato in una “caccia alle streghe” rispetto all’orientamento sessuale. È facile che, se si instaura un clima di fiducia e di dialogo, il tema emerga; ma questa fiducia verrebbe compromessa da un atteggiamento inquisitorio o investigativo.
Il documento riconosce la possibilità di un cambiamento, e pertanto la presenza di atti omosessuali o di tendenze non è sufficiente in quanto tale ad escludere che una persona non possa essere adatta a percorrere un determinato cammino: in fondo la questione più importante da considerare (non solo per l’ambito della sessualità) è la capacità della persona di cambiare.
Qualora poi si configuri una situazione di incompatibilità per la presenza di uno dei tre casi descritti dal documento, è giusto non dimettere o dissuadere la persona in maniera traumatica, in modo da rispettare una norma essenziale per la dignità delle persone come è quella del Codice di diritto canonico al canone 220: «Non è lecito ad alcuno ledere illegittimamente la buona fama di cui uno gode, o violare il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità». La prima funzione di un educatore è quella infatti di educare, di allargare la libertà della persona e di orientarla all’adesione a Cristo, non di tarpare il suo cammino: mettere in pubblico elementi delicati e intimi di una persona o correre il rischio di farlo significherebbe arrogarsi un diritto inaccettabile.
Un’altra delle questioni che lei solleva è la distinzione tra foro esterno e foro interno. Penso sia nell’interesse di chi educa, di chi è educato e della chiesa in genere non rendere antagonisti il foro esterno e quello interno: non svilupperò qui la distinzione, ma ricordo che la formazione dev’essere unitaria, come del resto unici sono l’agire della persona e la sua vocazione.
Venendo allo specifico dell’istruzione, certamente quanti operano nell’ambito del foro esterno sono tenuti a rispettarla. Il documento però coinvolge anche i padri spirituali, che sono chiamati a dissuadere quei candidati che contravvengono le situazioni indicate dal documento.
Nella lettera, lei parla più precisamente del confessore, che in quel momento celebra il sacramento della penitenza e perciò «svolge un compito paterno, perché rivela agli uomini il cuore del Padre, e impersona l'immagine di Cristo, buon Pastore. Si ricordi quindi che il suo ministero è quello stesso di Cristo, che per salvare gli uomini ha operato nella misericordia la loro redenzione»; resta comunque vero che il confessore deve «distinguere le malattie dell'anima per apportarvi i rimedi adatti, ed esercitare con saggezza il suo compito di giudice» (“Praenotanda” al Rito della penitenza). È ben noto che il male si nutre soprattutto di silenzio e di omertà e per questo è importante che il confessore inviti il penitente a non restare isolato e nascosto nel suo peccato o nel suo dubbio.
L’ultima amara considerazione che le è stata rivolta da un giovane pone un problema molto più acuto e doloroso rispetto a quello dello scandalo: le comunità omosessuali tendono ad estendere la loro rete e a trovare nuovi adepti, anche nel caso in cui queste comunità siano formate da presbiteri e si rivolgano a giovani. Questo deve indurre molte attenzioni nei formatori e portare a chiedersi chi siano i sacerdoti frequentati dai giovani in formazione, attraverso quali canali siano entrati in comunicazione e cosa venga perseguito in queste relazioni.

don Luca Balugani

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