mercoledì 21 febbraio 2007

PER UNA CHIESA "MADRE" E "MAESTRA"

Caro direttore,
fortemente sollecitato dalla lettera apparsa su Settimana dell’11 febbraio scorso, scrivo di getto alcune osservazioni, sull’onda emotiva del dibattito in corso a proposito di politica e vescovi, coppie di fatto ed etica, Cei e realtà pastorale italiana. Condivido il tono e il contenuto della lettera citata: pacata, seriamente articolata nelle sue argomentazioni, con ampio respiro di amore al vangelo, all’uomo e alla chiesa, vista come mater et magistra. Mater et magistra, appunto, secondo l’ineguagliabile definizione che ne ha dato l’indimenticabile papa Giovanni XXIII nell’omonima enciclica.
Maternità e magisterialità della chiesa: un binomio inscindibile a servizio del mondo per amarlo e illuminarlo. Maternità, come capacità di esprimere compassione; magisterialità, come capacità di proporre la “buona notizia” del vangelo. Buona notizia che non è buonismo pacioso e pressappochista ma annuncio profetico e testimonianza di misericordia. Una buona notizia offerta a due mani: una mano che indica il progetto ideale e l’altra mano che sostiene con amorevolezza il cammino accidentato della vita degli uomini.
Qualche mese fa, in diocesi di Treviso, è stato celebrato il 50° anniversario della morte del vescovo Antonio Mantiero che, per il suo impegno civile a favore dei poveri e dei perseguitati durante l’occupazione tedesca, è stato riconosciuto come defensor civitatis nel primo consiglio comunale di Treviso liberata. Questo vescovo amava ripetere argutamente: «Non bisogna adoperare il pastorale per darlo in testa alla gente, ma per servire amando!». Il pastorale, che come strumento simbolico rappresenta il ministero episcopale e la sua funzione magisteriale, in questo caso diventava per Mantiero la metafora di una testimonianza di vita che metteva al centro dell’azione pastorale il cuore del vangelo che è, appunto, il servizio, la misericordia e l’agape. E così, infatti, è stato per il vescovo trevigiano negli anni dell’ultima guerra mondiale quando ha sottratto alle torture e al carcere nazifascista centinaia di preti e di civili. Così è stato quando, nell’immediato dopoguerra, in una Treviso distrutta dai bombardamenti, ha aperto le porte del suo episcopio per una mensa popolare a favore dei senzatetto.
I vecchi trevigiani, dopo oltre 50 anni dalla morte di Mantiero, non conoscono affatto il titolo delle sue lettere pastorali dove certamente veniva proposta la dottrina ecclesiale ma conservano intatta nel cuore la memoria profetica di un vescovo, pater et magister, che si chinava per estrarre dalle macerie le vittime del devastante bombardamento del venerdì santo 1944 o a detergere le piaghe dei feriti superstiti o a supplicare clemenza presso i carnefici nazifascisti.
Mentre scrivevo queste righe ho tenuto davanti a me il brano del vangelo di domenica 18 febbraio dove si leggeva: «Siate misericordiosi, com’è misericordioso il Padre vostro! Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato!» (Lc 6,37). Sono gocce di balsamo purificante che scendono a lenire e a detergere il cuore ferito degli uomini, anche degli uomini di chiesa. E sognavo che quel “lieto messaggio” fosse proclamato, con verità e umiltà, dai pulpiti italiani.

don Giorgio Morlin
Mogliano Veneto (TV)

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