Gentile direttore,
e se fosse uno dei confessionali della cattedrale di Cesena quello che alcuni giornalisti de L’Espresso (n. 4 dell’1° febbraio 2007), con atteggiamento rozzo e incompetente, hanno violato fingendosi penitenti desiderosi di assoluzione? Chi ci difenderà da una prepotenza che profana un luogo così sacro e ferisce chi vi opera, nonostante tutte le leggi sulla privacy?
Circa tre mesi fa, seguendo una proposta del mio vescovo, ho lasciato la parrocchia di San Piero in Bagno per svolgere il compito di penitenziere nella cattedrale di Cesena. Sono stupito e commosso, perché da quell’osservatorio il mondo si vede in una luce che non appare normalmente e si tocca con mano che Dio è continuamente all’opera: «Il Padre mio opera sempre», dice il Vangelo.
Anche dentro l’esperienza umanamente più ripugnante, il cuore e il desiderio non vengono meno. Spesso ripenso le parole di Milosz nel Miguel Manara: «Ho compiuto tutto quello che può fare un povero diavolo d’uomo, e vedete?... Come colmarlo, questo abisso della vita? Che fare? Perché il desiderio è sempre lì, più forte, più folle che mai»? Ora comprendo come non mai le parole di sant’Agostino all’inizio delle Confessioni: «Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te».
L’esperienza del confessionale ringiovanisce la vita perché, io sacerdote peccatore e il penitente siamo lì tutti e due per Gesù, e quando dico le parole «Io ti assolvo» capisco che tempo e spazio si comprimono e lui, la felicità della vita, è «Qui come il primo giorno» (Peguy).
Ma al solo pensiero che una persona possa essere entrata in quel luogo senza alcun dolore, ma con l’atteggiamento dei farisei che di fronte a Gesù «cercavano di coglierlo in fallo», da un lato, mi fa pena perché vedo che c’è una malizia peggiore di tutte quelle che ascolto normalmente, ma ho il profondo conforto di vedere che Cristo è vero ieri come oggi, perché Cristo è amato e odiato ancora.
Un consiglio mi permetto di rivolgere a quei giornalisti che sorrideranno con sufficienza di queste mie osservazioni. Non è serietà professionale documentarsi prima di scrivere? Non dico che dobbiate studiare teologia, ma almeno gli elementi del catechismo che conoscono i bambini che si preparano alla prima confessione. Tra la norma morale e l’atto compiuto c’è la libertà della coscienza che solo Dio può conoscere e giudicare.
Entrando in confessionale con l’intenzione di sorprendere in fallo il confessore, avete compromesso non solo il rapporto con Cristo ma anche col sacerdote che avevate di fronte. Qualunque risposta possa egli avervi dato, era condizionata dal vostro atteggiamento. Voi non desideravate il perdono, ma solo essere confermati nel vostro pregiudizio. L’ideologia pone fuori dalla realtà. Aveva ragione Einstein: «È più facile frantumare un atomo che un pregiudizio».
Sarete riusciti a sfuggire al giudizio dei confessori di fronte ai quali vi siete inginocchiati, ma non sfuggite al giudizio di Cristo, e poco importa che voi non ci crediate: guardate solo il Giudizio universale della Cappella Sistina, e se quella mano che giudica fosse reale?
L’ultima speranza che mi rimane è quella di augurarvi che possiate incontrare un cristiano che vi faccia conoscere il fascino ragionevole della persona di Cristo così che, colpiti come Zaccheo, l’adultera o Pietro, possiate sentire il desiderio del suo abbraccio e torniate a confessarvi, ma questa volta con il dolore. Il protagonista della confessione non sono i nostri peccati, ma l’amore di Cristo.
don Onerio Manduca
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