Gentile direttore.
anche se non sono un esperto in materia e non ho nulla da insegnare o di nuovo e di originale da dire, pure io mi inserisco nel discorso/dibattito della pastorale di frontiera nei confronti di coloro che stanno vivendo una situazione coniugale non secondo Dio, ma alla maniera degli uomini (cf. Mc 8,33).
Prendo semplicemente le mosse da un fatto che mi ha ulteriormente illuminato e fatto riflettere.
Mi si presenta una persona che non conosco direttamente e mi chiede se mi può parlare privatamente. Ci vediamo. «Padre, avrà notato che, quando celebra la santa messa, io non faccio mai la comunione; sono divorziata e quindi ne sono esclusa». Mi affretto a dirle che questa situazione non è di per sé un impedimento all’esperienza sacramentale. Mi interrompe. «Mi lasci finire: io ho un compagno».
E così mi racconta la sua storia di moglie tradita dal marito il quale ha avuto un figlio con un’altra donna. Per questo lei non si è più sentita di stare con lui e lui neppure.
Poi continua: «Quando è morta mia mamma e ha fatto la prima comunione mia figlia, ho chiesto al mio prete se potevo comunicarmi perché non potevo dire alla mia bambina le cose come stavano. Il prete, dopo aver sentito la mia vicenda, mi ha detto di sì. E così è avvenuto con mia soddisfazione e senza imbarazzo di mia figlia, ignara di tutto; se non mi fossi comunicata con lei e come lei, certamente mi avrebbe chiesto il perché con grande mio disagio a doverle svelare, di punto in bianco, la mia situazione. Ora vorrei regolarizzare il tutto con una assoluzione e riprendere a comunicarmi perché ne sento un grande bisogno e piacere».
Mi si sono raggelate le vene al pensare di non poterla accontentare e farle sfumare forse la speranza di aver trovato un prete “comprensibile” e “accondiscendente”!
A scanso di equivoci, mi sono buttato a parlare liberamente e, senza mezzi termini, le ho detto che non ero sulla stessa linea del confratello; non per questo lo giudicavo male in quanto lui, essendo esperto in morale, avrà certamente avuto le sue “brave” motivazioni per dire quanto aveva detto e avallato.
Come conclusione di questa prima parte della conversazione, le ho confermato quanto lei aveva già intuito e cioè che in coscienza non potevo e non mi sentivo di assolverla.
Ne è convenuta anche lei perché anche altri preti le avevano espresso la stessa cosa, ossia che le condizioni per risolvere la questione erano due: avviare la causa di verifica della validità o meno del matrimonio ed essere disposta, nel frattempo, a vivere da fratello e sorella col proprio compagno non potendolo lasciare.
La signora mi dice che esclude ambedue le cose per non rivangare il passato coinvolgendo e facendo star male i propri congiunti e perché il proprio compagno non ci starebbe in quanto non è praticante ed è lontano da un discorso religioso e di chiesa.
Allora le faccio un altro discorso: quello sulle varie presenze di Cristo. La invito a prendere atto che la comunione eucaristica è, in realtà, il vertice della fede; tuttavia ci sono altre “comunioni”, non alternative beninteso, che nel frattempo si possono fare abitualmente con Cristo dovunque lui ha rivelato e indicato la sua presenza come, ad esempio:
– ogni volta che avete fatto un gesto di amore verso un prossimo in situazione di povertà e di bisogno, l’avete fatto a me (cf. Mt 25);
– dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro (cf. Mt18,15);
– chi avrà dato un solo bicchiere d’acqua ad un discepolo di Cristo non perderà la sua ricompensa perché è come averlo dato a lui (cf. Mc 9,41)…
Aggiungo che il concilio Vaticano II (cf. SC n. 7) ha messo a fuoco sette presenze vere di Gesù; non le chiama reali, e riserva questo aggettivo solo alla presenza di Gesù nelle sacre specie eucaristiche “per antonomasia”, ma ciò non le destituisce del loro valore di presenza di Cristo.
Provo ad elencargliene alcune:
* quando nella chiesa viene proclamata la parola di Dio, è Dio stesso che, qui e ora, parla al suo popolo,
* quando vengono celebrati i sacramenti, è Cristo stesso che battezza, assolve, consacra ecc.,
* quando si sta o si prega insieme, è ancora Cristo il centro e l’agente dell’unità e della comunione (cf. Mt 18,20),
* quando si vive l’amore vicendevole e fraterno, è sempre Cristo, presente e operante, il dono e la ragione di questa relazione (cf. Gv 13,35),
* lo stesso ministro celebrante è segno vivo di Cristo per cui, quando il sacerdote va all’altare per la santa messa, è Gesù che, nel segno di una persona fisica e visibile come il prete, entra nell’assemblea liturgica e vi ripresenta la sua offerta sacrificale per la nuova ed eterna alleanza con tutti i fedeli compartecipanti,
* Gesù si ritiene maltrattato in chi è perseguitato e combattuto a motivo della propria fede (cf. At 9,4-5).
Man mano che dicevo queste cose, osservavo che gli occhi della donna, inumiditi dalle lacrime per la mancata assoluzione sacramentale, diventavano radiosi nel sorriso per la finestra che si era andata dischiudendo.
La persona in questione, ad un certo punto, ha rotto il silenzio e ha commentato: «Anche se non posso vivere la pienezza della comunione mediante l’eucaristia, posso fare tante comunioni che mi avvicineranno al vertice; anche se la mia condizione, per ora, non mi consente di muovermi al livello, mettiamo, del “dieci”, però anche l’uno, il due, il tre… hanno il loro significato e valore; uno più uno più uno può diventare dieci!».
Mi sono reso conto ancora una volta che la questione dei separati risposati non è solo un problema scabroso di ordine morale e giuridico, ma di fede.
A volte ho l’impressione che si tenga di più ad essere autorizzati a fare la comunione mediante il poter “prendere l’ostia” – come a volte sento dire – che essere una sola cosa con Cristo per se stesso come Persona, morto e risorto per noi, considerato come il collaboratore della nostra libertà, della nostra gioia, del nostro vero e definitivo bene, che avere il suo pensiero (cf. 1Cor 2,16), che condividere il suo progetto-uomo, la sua volontà di amore benevolente.
Le amnistie, gli indulti, le concessioni compassionevoli e benevolenti attutiscono il dolore ma non guariscono.
Gesù, a chi gli chiedeva quali opere erano da fare, ha risposto, senza tergiversare: «Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato» (Gv 6,26). Queste parole rivelano che il servizio (azione/opera) fondamentale di Dio è che noi, suoi beneamati figli, siamo capaci di fidarci lui e affidarci a lui, che «è buono e fa il bene» (Salmo 119,68).
Alla samaritana che aveva avuto cinque mariti e quello che aveva non era il suo (cf. Gv 4,19), Gesù ha detto: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4,10). E la samaritana, avendo incontrato e conosciuto il dono di Dio, ossia il Messia Salvatore, ha dato una svolta alla sua vita (cf. Gv 4,28-29).
Gesù dice che chi ha trovato un tesoro, non esita a vendere tutto quello che ha e a procurarselo (cf. Matteo 13,44-46); chi guarda a chi e a cosa “guadagna”, ha la ragione e la forza di liberarsi (non di rinunciare!) da ciò che impedisce di concludere l’affare.
Sono sempre validi e attuali, anche se sembrano duri e autodistruttivi, i criteri di gestione della propria vita dati da Cristo: «Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te… conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna» (Mt 5,28-30).
È altrettanto significativa l’ingiunzione imperativa di Gesù alla donna adultera: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11).
Si comincia a fare la comunione quando si arriva a dire: il mio bene sei tu (Gesù): non c’è felicità per me senza di te! Chi trova Cristo, trova il più bello e il meglio senza eguali!
Occorre potenziare e intensificare il desiderio e soprattutto la voglia di Gesù per se stesso come l’amato del proprio cuore perché «chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra… Il mio bene è stare vicino a Dio» (Sal 73,25.28).
Le comunioni di desiderio scavano e predispongono alla comunione reale con Cristo, via, verità e vita. La Verità (Gesù stesso), insieme alla verità della propria ricerca di lui, libera, fa liberi, rende possibile quello che umanamente sembra impossibile, a condizione che si creda in lui come Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68) e, come lui, dicessimo: «Sulla tua parola getterò le reti» (Lc 5,5).
Fanno impressione e fanno pensare e sono provocanti le parole di Gesù: «Voi non volete venire a me per avere la vita» (Gv 5,40) e la domanda che ha posto ai primi discepoli: «Che cercate?» (Gv 1,38).
L’esperienza delle molteplici forme di comunione con Gesù secondo i suoi vari “modi” e “luoghi” di presenza, senza concentrarsi esclusivamente su quella eucaristica, pur non arrivando all’eccesso di non considerarla più o eguagliarla a tutte le altre presenze, mi pare che possa essere una pista percorribile da tutti la quale può sfociare nel «fons et culmen» del sacramento eucaristico.
don Guido Oliveri
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
Interesting to know.
Posta un commento