giovedì 8 marzo 2007

SULLA CONFESSIONE E SUI CONFESSORI

Caro direttore,
mi permetto di inviarti qualche riflessione sulla sgradevole vicenda delle false confessioni di cui si è reso protagonista il settimanale L’espresso. Sulla vicenda sono apparsi tempestivamente autorevoli interventi (cf. L. Lorenzetti su Famiglia Cristiana n. 5/2007, p. 31, e l’editoriale di Civiltà Cattolica del 17.2.2007, quaderno n. 3760) e anche Settimana n. 7/2007 del 18.2.2007 ha ospitato una lettera sulla questione. Ecco quanto mi sembra di poter scrivere, partendo dal discorso del papa riportato dall’Osservatore Romano del 19-20 febbraio scorso: «Quante persone in difficoltà cercano il conforto e la consolazione di Cristo! Quanti penitenti trovano nella confessione la pace e la gioia che rincorrevano da tempo! Come non riconoscere che anche in questa nostra epoca, segnata da tante sfide religiose e sociali, vada riscoperto e riproposto questo sacramento?».[1]
Non per cercare conforto e consolazione, né per riscoprire e riproporre al nostro tempo e alla nostra cultura in larga misura secolarizzata il profilo salvifico e misterioso di questo sacramento – al presente in notevole crisi – ma per la curiosità, debitamente stipendiata, di sapere cosa pensa il “grande esercito” dei preti italiani, alcuni inviati de L’espresso[2] sono entrati con identità fittizie nei confessionali di 24 chiese italiane da Torino a Palermo, da Milano a Napoli e Roma, accusando peccati o colpe che toccano l’arco delle questioni più dibattute e scomode dell’oggi e le conseguenti registrazioni delle risposte dei confessori.
I lettori ne sono a conoscenza, perché tutti gli organi di informazione hanno riferito di tale vicenda, che ha un precedente di pochi anni or sono, deplorevole e detestabile violazione della santità del sacramento, nonché della deontologia professionale giornalistica che interdice inganno e frode a fini conoscitivi.

Non tutto il male vien per nuocere. Male c’è stato: è necessario riaffermarlo senza esitazioni e senza sconti. Dissacrazione di un sacramento della chiesa e trappola tesa al confessore con accusa fittizia del tutto priva di dolore e di volontà di conversione e con domande non finalizzate alla richiesta di perdono, ma alla conferma dei propri pregiudizi ideologici, violazione della privacy, cui oggi si presta tanta attenzione.[3] E tuttavia qualcosa di positivo è possibile ricavare da questa triste vicenda.
Le risposte e gli atteggiamenti dei confessori presi alla sprovvista, incapaci di identificare la realtà delle persone sotto la maschera del finto penitente, e quindi da non condannare senza discernimento, inducono a riflettere sulla loro preparazione in campo di etica della vita, di morale sessuale e sociale. Riesce infatti abbastanza facile evidenziare nei loro responsi approssimazioni, superficialità e ambiguità e, in particolare, notevoli divergenze sul fatto di concedere o meno l’assoluzione.
I falsi penitenti tentatori – forse non del tutto consapevoli della malizia del loro gesto – dimostrano di ignorare lo spessore teologico e la realtà complessa del peccato che, oltre al profilo personale riveste anche una dimensione sociale e collettiva,[4] e in particolare la bipolarità della morale: riferimento non obliabile a valori e norme (aspetto oggettivo) e alla soggettività della coscienza della persona in situazione, sempre da rispettare come norma ultima di comportamento (aspetto soggettivo).
A motivo di tale ignoranza dimostrano stupore e scandalo a fronte dei verdetti, ora di assoluta condanna, motivata dalla violazione oggettiva di norme evangeliche o ecclesiali, ora tradizionali e largamente assolutorie, spesso inadeguate alla gravità dei problemi proposti. Questi vertono su temi ardui: aids e uso dei preservativi, liceità o meno del ricorso a cellule staminali embrionali, droghe, fecondazione assistita, aborto e frequentazione di prostitute, omosessualità e comportamenti in linea con tale condizione, sesso con minori, divorzio e convivenze de facto, truffe ed evasioni fiscali.
Che i confessori abbiano dimostrato perplessità e inadeguatezze nei loro responsi non sorprende più di tanto: stupisce però l’impreparazione e l’approssimazione di alcuni, rivelatrice di una scarsa familiarità sia con i documenti della chiesa, sia con le più recenti elaborazioni teologico-morali in queste delicate e complesse questioni. Ovviamente sulla validità di tali inchieste ottenute per la via dell’inganno è necessario fare la dovuta tara e avanzare tutte le opportune riserve.

Saggezza e attualità del messaggio pontificio. Nel discorso da cui abbiamo preso le mosse, papa Benedetto non fa alcun riferimento al doloroso fatto di cronaca che abbiamo brevemente richiamato, ma offre una messe ricca e feconda di riflessioni che aiutano a riproporre in maniera altamente valida e veritiera il sacramento della penitenza e della conversione sia ai confessori che ne sono ministri (persona dramatis) sia alla nostra cultura inetta a percepire il significato dei simboli e lo spessore salvifico del sacramento: rinascita spirituale e trasformazione del penitente in una nuova creatura, non come risultato di un gesto magico, ma attraverso l’incontro della grazia con l’atteggiamento serio di dolore e di conversione del penitente.
Questi, afferma il pontefice, è strumento della misericordia divina: «Pertanto è necessario che egli unisca ad una buona sensibilità spirituale e pastorale una seria preparazione teologica, morale e pedagogica che lo renda capace di comprendere il vissuto della persona. Gli è poi assai utile conoscere gli ambiti sociali, culturali e professionali di quanti si accostano al confessionale per poter offrire idonei consigli e orientamenti spirituali e pratici. Non dimentichi il sacerdote che in questo sacramento egli è chiamato a svolgere il compito di padre, di giudice spirituale, di maestro e di educatore». Ma ciò esige un costante aggiornamento.

Giuseppe Mattai SDB, Alassio

[1] Discorso di Benedetto XVI ai penitenzieri delle quattro basiliche pontificie romane e ai prelati e officiali della Penitenzieria Apostolica, in Osservatore Romano, 19-20 febbraio 2007, p. 9, che, oltre a riferire il testo integrale dell’intervento pontificio, ne evidenzia i passi più significativi.
[2] Vedi il servizio di Riccardo Bocca su L’espresso, n. 4 del 1°febbraio 2007.
[3] Si veda in proposito la lettera a Settimana del 18 febbraio 2007, di don Onerio Manduca.
[4] Cf. Ignazio Schinella, Il peccato, realtà pluridimensionale, in RTM, 153, 2007, pp. 95-106.

Nessun commento: