Caro direttore,
le notizie di questi ultimi giorni relative ai morti sul lavoro, definite dai mass media “morti bianche”, sono impressionanti! Nella grancassa dei mass media nazionali, raffinati opinionisti si sono affrettati a spiegare il fenomeno dicendo che il numero complessivo delle vittime in Italia, non si discosta più di tanto dalle medie degli altri paesi europei e che in una certa qual misura questo è il prezzo doloroso che le società avanzate devono pagare ad un progresso pressoché inarrestabile.
Varrà perciò la pena, di fronte a questi tentativi di anestesia totale sulle coscienze degli italiani, ricordare che nel nostro paese nel 2006, sono stati quasi 1.300 i morti caduti sul fronte del lavoro e questa non è che la punta di un iceberg che ignora una realtà ancor più nascosta dove è logico supporre ci siano altre vittime che non vengono denunciate.
Pensiamo al lavoro sommerso, una piaga per la realtà italiana, e immaginiamo quanto questo fenomeno sia ancor più tragico e devastante per il mondo degli extracomunitari. Aggiungiamo, inoltre, quel considerevole numero di vittime legato al settore degli autotrasporti dove chi muore in auto o sui camion viene inglobato negli incidenti stradali, mentre dovrebbe essere annoverato come vittima del lavoro. Sempre per restare nel campo della mobilità, andrebbero considerati anche quei pendolari che restano coinvolti in incidenti stradali, a volte lontani centinaia di chilometri da casa.
E poi come tacere il triste fenomeno delle malattie contratte in ambienti insalubri (pensiamo solo alla tragica realtà della lavorazione dell’amianto, fortemente presente nelle nostre zone) dove un killer cancerogeno silenzioso, contratto durante gli anni lavorativi, agisce a volte, a distanza di tempo, distruggendo i restanti anni di pensione?
Abbiamo da poco celebrato il 1° Maggio, data simbolo per le classi lavoratrici di tutto il mondo. Non possiamo nascondere che se i lavoratori hanno raggiunto (grazie alle coraggiose lotte condotte da generazioni di uomini e donne che non accettavano più di essere sfruttati) considerevoli traguardi per quanto riguarda la qualità della vita, molto resta ancora da fare per quanto riguarda la sicurezza negli ambienti lavorativi.
Un sistema economico-produttivo che mette al centro esclusivamente il profitto, infischiandosene delle persone considerate come un elemento “sostituibile” nelle dinamiche produttive alla stregua di un qualsiasi pezzo di ricambio in caso di “guasto”, rende ancora più urgente e necessario portare all’attenzione dell’opinione pubblica e in modo particolare alle comunità cristiane che il lavoro – ma in modo più puntuale bisognerebbe dire “la persona che si realizza in pienezza e dignità attraverso una specifica attività lavorativa” – deve essere posto al centro di ogni attenzione politica, economica, sociale e primariamente pastorale.
Dobbiamo essere vicini alle famiglie provate dal dolore per la tragica scomparsa di un loro caro morto sul lavoro.
Le “morti bianche” proliferano là dove è presente e si alimenta nel silenzio acquiescente di un'opinione pubblica inerte e distratta, una “coscienza sporca” legata a interessi economici non sempre trasparenti e cristallini. Impegnarci per cancellarle entrambe è un dovere sacrosanto per tutti e un imperativo morale per ogni credente.
Mario Bandera (NO)
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