lunedì 27 agosto 2007

ANCORA SUULA MESSA IN LATINO

lettera breve pag. 2


DOPO CHE È STATA RIPRISTINATA LA POSSIBILITÀ DI CELEBRARE IN LATINO

Accogliere il nuovo, rispettare il vecchio

Cara Settimana,
tanti mi domandano che cosa succederà adesso. La messa in latino è diventata nuovamente una chiacchiera; può essere ancora un segno che non si è spenta l’anima religiosa della gente. Certamente alcuni hanno letto il documento del papa che presentava la questione: il quotidiano Avvenire è andato a ruba. La liturgia è cosa delicata, come una veste di prezioso ricamo. Due estremi sono da evitare: una liturgia fredda e solo esteriore, dove si esegue un rito di cui si aspetta la fine; e una liturgia mossa, invasa di parole e gesti aggiuntivi che fanno coincidere la partecipazione con la confusione, dove domina l’arbitrio del celebrante e o di qualche protagonista dell’assemblea. Dov’è dunque il nodo della questione? La liturgia è il mistero della vita di Gesù che ci viene consegnato dalla chiesa. È un dono vivente, una presenza in azione attraverso parole e gesti belli e preziosi: né le parole sono da cambiare a nostro arbitrio, né i gesti possono diventare sciatti.
Cosa succederà, dunque, ora che il papa rende libero, a certe condizioni, l’uso del rito con il quale io personalmente ho celebrato la messa nei primi anni di sacerdozio? Non so immaginarlo. Alcune persone sono confuse e incerte, altre si scandalizzano come per un ritorno al passato, altre traggono un sospiro di sollievo o di soddisfazione. Credo che ora possa tramontare definitivamente il tempo della scomunica lanciata dal basso.
Negli anni seguiti immediatamente al concilio, e poi ancora per decenni fin quasi ai nostri giorni, alcuni hanno impegnato le loro energie in una lotta paragonabile a quella del secolo settimo e ottavo contro le immagini; come in quegli antichi tempi animosi e feroci, sono stati bruciati libri e sconfessati usi e comportamenti pieni di dignità; si è perso tempo a irridere e a mortificare persone, che si sono sentite rifiutate per il solo desiderio di pregare e cantare come la chiesa stessa le aveva educate fin dall’infanzia.
L’ebbrezza di novità del ’68 ha lambito il tempio e ne ha intaccato le pareti; vi abbiamo partecipato in tanti, collaborando con antiquari e artigiani per la frettolosa demolizione degli altari delle chiese e la svendita di suppellettili preziose; a volte armadi di plastica hanno sostituito i legni pregiati delle sagrestie.
E, tuttavia, nello stesso tempo, da molte parti il nuovo rito liturgico si è fatto strada secondo una modalità nobile e intensa, partecipata dal profondo, che ha raccolto e rinnovato il testimone della tradizione: nuovi canti, nuove pagine della Bibbia, nuova consapevolezza per rinnovate comunità. Lì dove la liturgia nata dal concilio è fiorita in una composta bellezza, lì dove le comunità hanno espresso l’intensità della fede, non si farà difficoltà ad accogliere altri fratelli desiderosi di pregare con uno stile e una lingua così cari per secoli a tante generazioni cristiane. Come lo scriba sapiente del Vangelo dovremo imparare a trarre dal grande tesoro della chiesa cose nuove e cose vecchie.

don Angelo Busetto

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