Carissimo vescovo Luciano,
non oso dirti che scrivo a nome della diocesi e dei preti. Se interpreto i sentimenti di altri sono contento, ma non lo pretendo. Ti scrivo come ti ho già scritto nelle grosse occasioni e questa mi sembra la più grossa e la più triste di tutte. Stiamo male come quei fedeli cui viene tolto un parroco amatissimo. Dispiacere e rimpianto, riconoscenza e affetto.
Mentre ci davi lettura in curia del documento ufficiale sul tuo trasferimento a Brescia, la voce a volte si incrinava e lasciava intuire che dentro forse piangevi. Dodici anni a Piacenza ti hanno legato in profondità ai tuoi preti e alla tua gente. Siamo stati la tua famiglia. Ricordo la sera della messa in cattedrale in suffragio di tua sorella – a pochi giorni dal funerale – quando ci hai detto: «Ora quaggiù io non ho più nessuno, né genitori, né fratelli. La mia famiglia siete voi». Non erano parole di circostanza. Ti abbiamo sentito padre e fratello in ogni occasione.
Ti dispiace andare perché sappiamo che con noi ti sei trovato bene e ce lo hai confermato ogni anno nella festa del S. Cuore – in quello che ormai era diventato “il discorso sullo stato della diocesi” –: «con voi mi trovo bene». Non ci hai mai lasciato dormire tranquilli, ci hai spronato a camminare al seguito di Gesù per il bene della diocesi e di tutta la nostra gente. Quanti messaggi forti ci hai trasmesso: di volerci bene, di stimarci a vicenda, di considerarci presbiterio unito a te per fondere in unità tutta la nostra chiesa locale!
Sei stato come un vero parroco per i tuoi preti, interessandoti alla nostra salute e situazione spirituale, alle parrocchie in cui operiamo, con una disponibilità e apertura davvero grandi. I preti malati hanno avuto il conforto delle tue visite assidue e incoraggianti. Quelli che morivano il conforto del funerale sempre personalmente da te presieduto. C’è chi dice che sei troppo buono, che fai fatica a comandare, che non imponi mai la tua volontà. Perché preferisci aspettare risposte docili, anche se talvolta tardano ad arrivare.
I laici ti hanno amato, creduto e seguito, senza particolari fatiche. Perché la tua parola chiara e convincente era accompagnata dalla testimonianza della tua vita. Uno di loro ha detto: «Il vescovo mette i fedeli in condizione di potersi affidare a lui perché è una persona che pratica quello che dice ed è quindi molto credibile».
I poveri: pensiero costante del tuo ministero. Appena arrivato in diocesi, hai voluto che nella tua stessa casa vivessero i poveri della “Casa della Carità”. Basterebbe questo a qualificare come splendido il tuo episcopato tra noi. Come piangeranno alla notizia del tuo trasferimento! E che dire del tuo interessamento per l’istituzione in città dei campi per i nomadi, della tua continua attenzione alla Casa “La Pellegrina” per i malati di aids, dell’appoggio alla Caritas per la “Mensa della Fraternità”, del tuo dedicarti alle istituzioni cittadine rivolte alla cura e all’inserimento lavorativo dei disabili (Assofa, Germoglio…).
Ci mancheranno la “Scuola della Parola”; i tuoi interventi pacati e profondi sui più svariati argomenti nelle diverse circostanze della vita pubblica; il tuo sguardo sereno sulle realtà anche difficili, specialmente la tua capacità di dialogo che non vede mai nell’altro l’avversario ma la persona che cerca il meglio; il tuo profondo spirito di preghiera e di fede che ha dato senso alla tua vita e alle decisioni da prendere.
Che bel ricordo lasci ai bambini ragazzi e giovani che hanno avuto la fortuna di incontrarti nelle parrocchie, nelle scuole, nei campi-scuola o nei raduni diocesani!
Sarà l’eco della tua Parola forte e incisiva e del tuo affetto sincero per ciascuno che manterrà vivo il tuo ricordo. Partirai ma non ci lascerai! Ci hai detto testualmente: «Le relazioni con le persone sono le cose più importanti della vita. I legami non si spezzano». La reciproca preghiera ci garantisce che è così. (don Giancarlo Conte)
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