Direttore carissimo,
innanzitutto un grazie di cuore perché Settimana mi ha sempre fatto buona compagnia per tutto il tempo del mio sacerdozio, soprattutto da quando, partecipando ad un corso di esercizi spirituali predicati dal card. Pellegrino presso il santuario di Sant'Ignazio a Pessinetto (TO), l'eminente predicatore ci ha detto: «L'abbonarsi a Settimana del clero per un prete, vuol dire rimanere sufficientemente aggiornato».
Permettimi, ora, di dir la mia sul motu proprio di Benedetto XVI. Sono un prete oramai vicino al traguardo finale, ho avuto la fortuna di vivere tutta la straordinaria evoluzione nella chiesa “dal prima al dopo” e il veramente provvidenziale concilio. Penso ora, alla mia età, a quanto sarà costato ai preti anziani dover osservare tutte le minuziose rubriche della liturgia pre-conciliare, soprattutto con quelle frequenti genuflessioni doppie e semplici... Meno male che il buon papa Giovanni XXIII si è lasciato guidare dallo Spirito Santo e ha avuto il coraggio di aprire un concilio per un necessario aggiornamento nella vita della chiesa.
Purtroppo noi preti, presi dalla fretta di introdurre le modifiche, non ne abbiamo spiegato a sufficienza il significato, limitandoci a dire: «Prima si faceva così, ora invece si fa in questo modo!». L'auspicio, quindi, dei padri conciliari non è stato raggiunto, per cui noi abbiamo avuto dei cristiani che hanno visto in queste modifiche più un tentativo di "abbassare" troppo il Signore, mancandogli di rispetto, che di rendere noi più partecipi e consapevoli.
Che dire ora del motu proprio? L'emerito vescovo di Ivrea, scrivendo su Settimana a proposito del funerale di Welby e di Pavarotti, ha avanzato un tipo di valutazione che mi sembrerebbe applicabile anche al motu proprio. Egli dice: Giovanni XXIII ha voluto il concilio non come "dogmatico", bensì "pastorale". Ebbene, il tipo di chiesa che ha escluso Welby dal funerale religioso... risponde all'atteggiamento "dogmatico"..., mentre la chiesa che ha concesso il funerale religioso a Pavarotti ha scelto la dimensione "pastorale". Non so se questo sdoppiamento sia possibile.
Papa Benedetto XVI è pienamente consapevole di avere una missione di salvare tutte le anime "ricapitolandole" in Cristo, quindi ha riunito le due dimensioni, ambedue valide – almeno così spero – per salvare, creando comunione tra i nostalgici del latino (della messa pre-conciliare) e quelli che preferiscono la lingua parlata.
Personalmente sono convinto che se noi preti ci sforziamo di attuare il concilio, non dando nulla per scontato, molti cristiani, soprattutto giovani, si convinceranno sempre più del suo innegabile valore in ordine a farci vivere, nel quotidiano, la nostra fede e il nostro battesimo.
Direttore, le ho scritto, soprattutto, perché spero che gli operatori pastorali laici che leggono la nostra Settimana possano essere aiutati a pensare che sempre, quindi anche questa volta, il papa parla e insegna per "mantenere" la comunione tra i fedeli, non per creare divisioni.
Con l'augurio di ogni bene.
don Marco, Segugnago (LO)
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